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La Legge n. 12 del 1979. Il Consulente Del Lavoro

In questa trattazione si analizzerà in generale la figura del professionista iscritto all’albo di un ordine professionale, ed in modo particolare la figura del professionista Consulente del lavoro.

Rispetto ad altre figure professionali, come commercialisti e avvocati, la figura del Consulente del Lavoro ha radici relativamente recenti: è “solo” dal 1979 infatti che una legge riconosce ufficialmente, e con riserva di legge, questa professione. Inizialmente si parlava di “paghisti”, ossia di “coloro che si occupano delle buste paga”, ma tramite una costante crescita di quelle che sono le competenze (e di pari passo le responsabilità) di questa figura, come risposta alla complessità delle norme italiane in ambito lavoristico, si è arrivati ad un nuova configurazione.

L’ordine dei consulenti del lavoro di Bologna dà ora la seguente descrizione: “I Consulenti del lavoro sono professionisti tecnico-contabili, che offrono le proprie competenze, in prevalenza, a favore delle realtà imprenditoriali medio-piccole, favorendo lo sviluppo dei processi economici aziendali e la gestione delle risorse umane.” . Come si evince da questa più recente definizione, il ruolo di questa figura con il tempo è sicuramente cambiato in modo profondo, sono stati fatti dei grandissimi passi in avanti, e il primo di questi passi è sicuramente la Legge n. 12 del 1979 che andremo ad analizzare. Questa legge riconosce l’ordine dei Consulenti del lavoro, professione a cui viene assegnato un ruolo certamente predominante nella gestione degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale dei lavoratori dipendenti.

L’art. 1 comma 1 stabilisce che, quando questi adempimenti non sono svolti direttamente dal datore di lavoro, gli stessi possono essere svolti dai consulenti del lavoro iscritti all’albo (ex art. 9 della stesse legge, salvo il disposto dell’art. 40 della stessa legge) ed altresì dagli iscritti all’albo degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali. Come è facile notare, il legislatore non solo elenca in primis, tra i professionisti abilitati, la figura del Consulente del lavoro, ma le evita anche quanto riservato invece a tutte le altre figure professionali elencate, ovvero la comunicazione della suddetta attività agli ispettorati del lavoro delle province in cui vengono svolti gli adempimenti in questione (comunicazione che deve tra l’altro contenere l’indicazione dei nominativi dei clienti).

Si può parlare di vera e propria genesi formale della professione di Consulente del lavoro, una figura fondamentale nel nostro Paese con funzioni, compiti e attribuzioni che il legislatore le conferisce in via esclusiva. Per poter entrare a far parte dell’ordine professionale dei Consulenti del Lavoro, che ad oggi, nonostante sia di recente istituzione, raccoglie un numero significativo di iscritti (circa 28.000 secondo le stime dell’osservatorio ICT & Professionisti della School of management del Politecnico di Milano) e annovera tra i propri clienti circa 1 milione di aziende (stime dell’ordine dei Consulenti del lavoro di Milano), sono previste condizioni tassative, un po’ come per tutti gli ordini professionali.

La Legge n. 12/1979, in particolare all’art. 1 comma 3, sancisce che, per avere il titolo di consulente del lavoro, sia necessaria un’apposita abilitazione professionale e una successiva iscrizione all’albo (previsto per ogni provincia), prevedendo una particolare deroga (art. 1 comma 2) solo per i dipendenti del Ministero del lavoro e della previdenza sociale che abbiano prestato servizio per almeno 15 anni con mansioni di ispettori del lavoro presso gli ispettorati del lavoro, i quali potranno iscriversi all’albo (non della provincia in cui hanno prestato servizio) senza sostenere l’esame e senza effettuare il tirocinio/praticantato previsto dall’art. 3 della legge in esame. L’art. 1 della L. 12/79 rimarca l’importanza del Consulente del lavoro, al comma 4 infatti nell’enunciare una misura agevolativa per le piccole aziende (anche artigiane o in forma cooperativa) il legislatore pone sempre il Consulente del lavoro come soggetto primario nella gestione degli adempimenti di cui al comma 1 della Legge n. 12/79, perché nonostante conceda a queste imprese la possibilità di gestire gli adempimenti in questione tramite centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettive associazioni di categoria, conferisce alle associazioni stesse la facoltà di avvalersi di Consulenti del lavoro (anche dipendenti delle stesse). Siamo quindi in presenza di un’eccezione, ovvero la gestione da parte delle associazioni di categoria, rispetto alla regola, ossia la gestione degli adempimenti ex comma 1 da parte del Consulente del lavoro. A fugare ogni dubbio interpretativo al riguardo, è intervenuto il Ministero del Lavoro con la circolare n. 65 del 27/05/1986 che chiarisce “(…) è da far presente che la corretta interpretazione della legge è nel senso che l’espletamento dei servizi di consulenza affidati alle associazioni di categoria delle piccole imprese e di quelle artigiane deve far comunque capo ai soggetti che siano consulenti del lavoro, dipendenti o meno delle associazioni medesime: ossia soggetti che siano iscritti nell’albo di cui all’art. 8 della legge n. 12/1979.” Il comma 5 della Legge n. 12/79, pur ribadendo la centralità della figura del Consulente del lavoro (ma anche degli altri professionisti abilitati in questo caso), sembrerebbe aprire una falla che si presta a configurare casi di esercizio abusivo della professione. In questo comma è infatti disciplinato il Ced, ovvero il centro di elaborazione dati, a cui possono ricorrere sia le piccole imprese (anche artigiane o in forma cooperativa), sia quelle con più di 250 addetti, solo però per quanto riguarda il mero calcolo e la stampa di quanto previsto al 1° comma della L. 12/79. I centri di elaborazione dati nel caso di piccole imprese (anche artigiane o in forma cooperativa) dovranno comunque essere o composti totalmente da Consulenti del lavoro (o da altri professionisti abilitati ex Lege) oppure organizzati tramite l’associazione di categoria cui la piccola impresa fa parte, mentre nel caso di imprese con più di 250 addetti, sia che essi siano di diretta costituzione o meno, è necessario siano assistiti da Consulenti del lavoro (o professionisti abilitati). Il Legislatore infine al comma 6 della L. 12/79 si dimostra sicuramente previdente e istituisce un comitato di monitoraggio, composto dai soggetti più autorevoli ed importanti del settore (Associazioni di categoria, rappresentanti degli ordini e collegi richiamati dalla L.12/79 e rappresentanti delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative) allo scopo di esaminare i problemi connessi all’evoluzione professionale ed occupazionale nel settore.

Dopo aver analizzato la L. 12/79 è facile capire come il professionista Consulente del lavoro, al pari di altri professionisti nei rispettivi settori, abbia ampi compiti e responsabilità, a maggior ragione in presenza di una riserva di legge. Questi compiti e responsabilità rappresentano lo specchio di un interesse pubblico, basti pensare che la Costituzione all’art. 33 recita “E` prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale” (la cui Ratio Legis è “che la formazione culturale dei singoli è essenziale quale garanzia di un ordinamento democratico e pertanto, l’ordinamento si pone come proprio scopo quello di garantire e favorire questa formazione”) e che l’art. 348 del C.P. disciplina una specifica figura di reato:  “Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516”.

A questo punto il quadro risulta abbastanza chiaro: per poter svolgere determinate professioni di interesse pubblico è richiesto di dover dimostrare la propria preparazione, validità e competenza. Tra queste professioni rientra a pieno titolo quella del Consulente del lavoro. Prendiamo ora in esame alcuni casi concreti di esercizio abusivo della professione: essa si verifica sicuramente quando si è in presenza di soggetto che opera senza il necessario titolo di studio o che manchi dell’abilitazione prescritta, oppure non abbia adempiuto alle formalità richieste (iscrizione all’albo) oppure, ancora, sia decaduto o sia stato sospeso o interdetto nell’esercizio  della professione (Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 1151 dell’08.01.2003), anche nel caso di svolgimento di un solo atto professionale. Mentre non si è in presenza di delitto quando le figure professionali che vanno in parallelo rispetto a quella del Consulente del lavoro, quali commercialisti, avvocati, ragionieri e periti commerciali, svolgono adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, senza aver previamente dato la prescritta comunicazione alla Dtl della provincia nel cui ambito intendano svolgere tali adempimenti (Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 31432 del 16.07.2004).

Di notevole importanza è la sentenza n.11545/2012 della Corte di Cassazione che ha stabilito che vi è esercizio abusivo della professione anche quando vi è compimento, senza titolo, di atti che, anche se non attribuiti in via esclusiva dalla Legge, siano configurabili all’interno di una determinata professione, in particolare detti adempimenti rientrano pienamente all’interno della tutela prevista dal 348 C.p. se svolti con continuità, onerosità e organizzazione (anche minima) in modo tale da dare l’apparenza di un’attività professionale svolta da soggetti regolarmente abilitati. Siamo inoltre in presenza di esercizio abusivo della professione anche quando “la gestione dei servizi e degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale venga curata non da dipendenti di una associazione di categoria, ma da un soggetto privo del titolo di Consulente del Lavoro, ovvero non iscritto al relativo albo professionale, che sia socio di una società solo partecipata da una di quelle associazioni di categoria” (Cass. penale, VI sezione, sentenza n. 9725 del 21 febbraio 2013).

Infine particolarmente importante e attuale è sicuramente anche il discorso prima anticipato riguardante i Ced: Circolari del Ministero, di Inps e Inail e la stessa giurisprudenza hanno dato un contorno preciso alle attività di questi centri elaborazione dati chiarendo che devono essere assistiti da Consulenti del lavoro, poiché a quest’ultimo spettano tutte quelle attività valutative, preventive e di consulenza necessarie alla successiva attività meramente esecutiva e strumentale di calcolo.

Qualora non vi fosse questa ripartizione di competenze si ricadrebbe nella configurazione della fattispecie di cui all’ art. 348 C.p., ed è la Corte di Cassazione penale con sentenza n. 27848 del 11/07/2001 a confermarlo: commette reato “colui il quale non si limiti ad eseguire compiti di natura esecutiva, quali il mero calcolo o la semplice elaborazione di dati, ma svolga attività di più alto livello professionale, con ampia autonomia decisionale (ad esempio, gli adempimenti connessi all’assunzione ed al licenziamento dei lavoratori, l’assunzione di lavoratori con contratti di formazione lavoro, la compilazione di modelli DM/10 per l’INPS).” Ma la 348 C.p. non è l’unica norma penale che va a colpire chi esercita abusivamente la professione, infatti lo stesso Codice penale all’articolo 498 afferma: “chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 497-ter, abusivamente porta in pubblico la divisa o i segni distintivi di un ufficio o impiego pubblico, o di un corpo politico, amministrativo o giudiziario, ovvero di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato (…), è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154 a euro 929”; in questo caso, è opportuno chiarire, che non è necessario il compimento di almeno un atto tipico della professione, ma è sufficiente la semplice arrogazione abusiva.

Vale la pena rammentare inoltre che è riconosciuto il concorso tra le due diverse fattispecie dell’art. 348 C.p. e 498 C.p. . A coronamento di quanto stabilito dalla Costituzione, e dalle altre norme citate, interviene anche il codice deontologico dei Consulenti del lavoro che, a volte direttamente, altre volte trasversalmente, affronta il discorso inerente l’esercizio abusivo della professione nell’ottica di un’attività svolta con lealtà e correttezza nei confronti del cliente e dei terzi a qualunque titolo coinvolti (si veda l’art. 5 del codice deontologico).

All’art. 13 il codice deontologico afferma: “E’ fatto divieto al Consulente di accettare incarichi congiuntamente con soggetti non abilitati e di avvalersi, per l’esercizio di prestazioni riservate, di soggetti non abilitati ovvero di promuoverne o favorirne l’attività”. All’art.14 invece parla di concorrenza sleale se l’esercizio dell’attività è svolto “con titolo professionale o formativo non conseguito”; e infine all’art. 23 avverte che “In costanza del periodo di sospensione, il Consulente non può promuovere o accettare incarichi professionali”. Il tutto all’ombra dell’art. 17, il quale ricorda che “Il Consulente è tenuto a collaborare lealmente con l’Ordine per l’espletamento delle funzioni istituzionali, anche con riferimento al fenomeno dell’abusivismo professionale”. Questa moltitudine di norme, regole e interpretazioni non fa altro che tracciare il contorno di una professione certamente fondamentale, che proprio per la sua importanza, data dalla funzione esercitata e dalla tipologia di attività svolta a favore della collettività, deve essere tutelata e preservata da ogni forma di abusivismo.

Questo fenomeno, purtroppo presente nel nostro territorio nei più disparati settori, forse non è figlio di quelle opinioni a sfavore degli ordini professionali, ma trova sicuramente una pericolosa giustificazione in esse, si veda ad esempio quanto affermato dal giornalista Franco Stefanoni che scrive “Quello degli ordini professionali è un mondo chiuso e ancora tutto da raccontare. Una macchina del privilegio, con meccanismi e regole scritte e non scritte. (…) Nati con l’alibi di difendere il cittadino-consumatore, gli ordini professionali proteggono solo se stessi, tramandandosi il potere in maniera quasi ereditaria”. In conclusione si propone il principio della guida all’antiabusivismo dei Consulenti del lavoro: scrive la presidente Marina Calderone “La consulenza del Lavoro ai Consulenti del Lavoro”, e più in generale è forse corretto dire “Le professioni ai professionisti”.

Dott. Marco Tuscano
Consulente del lavoro Ordine CdL Brescia n. 911a


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